Le cose impossibili
di Fabio Morici
Il primo film che ho visto di Ettore Scola è stato Brutti sporchi e cattivi, in televisione, da bambino, con i miei genitori. Era uno dei primi film “da grandi” che vedevo. Anche se ancora non capivo il cinema, mi rimase impresso per anni. E mi tornò in mente quando da adolescente iniziai a scoprire davvero la settima arte, ad appassionarmi visceralmente e poi a studiare recitazione. Decisi allora di vedermi i tanti capolavori del Maestro: C’eravamo tanto amati, Una giornata particolare, La famiglia… Sognavo di poter un giorno recitare in un film bello come quelli lì. Ma proprio quando iniziai a muovere i primi passi da attore professionista, uscì quello che doveva essere l’ultimo film di Ettore Scola: Gente di Roma. Era il 2003. Dopo quel film il Maestro diede l’addio ufficiale al cinema, per i motivi che tutti sanno, visto che non aveva alcun problema a rivelarli pubblicamente. Anagraficamente ero dunque arrivato troppo tardi anche solo per sognare di lavorare con Scola. Dovevo accettarlo: ci sono cose impossibili.
Ma il cinema in fondo è magia…
E, magicamente, nel 2013, ben dieci anni dopo il suo ultimo film, Ettore Scola si ritrova a fare un altro ultimo film: il suo strepitoso omaggio a Fellini e al cinema: Che strano chiamarsi Federico. D’un tratto, l’impossibile era diventato soltanto improbabile.
Quando mi chiamò Gianluca Greco, che faceva i casting del film, non ci volevo credere: avrei fatto un provino per un film di Ettore Scola. Non doveva nemmeno esserci un film di Ettore Scola, figuriamoci un mio provino. Quel giorno il Maestro non c’era, il provino lo feci davanti alle figlie, Paola e Silvia Scola, sceneggiatrici del film. E la scena la recitai con i nipoti, Tommaso e Giacomo Lazotti, che nel film avrebbero interpretato i ruoli di Fellini e Scola da giovani. Era il provino più importante della mia vita. Uscii felice semplicemente di averlo potuto fare. Mentre tornavo a casa, pensavo che Ettore Scola lo avrebbe rivisto in video: uno che i provini li aveva fatti a Mastroianni, Manfredi, Sordi, Gassman… Mi sembrava già quello un traguardo eccezionale.
Ma a quel punto l’impossibile era già stato scardinato. E qualche tempo dopo scoprii di essere entrato nel cast dell’ultimo film dell’ultimo grande Maestro. Uno di quelli che il cinema italiano lo avevano inventato. Per me era come aver vinto un Oscar. Quei giorni sul set sono indelebili. Volevo prendere tutto, “rubare” tutto, tornare a casa col bottino più ricco possibile. Non potevo sprecare nemmeno un briciolo di quella occasione impossibile. Giravamo nel Teatro 5, proprio quello di Fellini. Un film di un Maestro, che parlava di un altro Maestro. La redazione del Marc’Aurelio, gli abiti d’epoca: stavo entrando di straforo nella storia del cinema. Non dimenticherò mai l’emozione di sentir dire “azione” da Ettore Scola e sapere che quella parola era indirizzata anche a me.
Il film uscì al Festival di Venezia, la settantesima edizione. Il giorno della prima c’era anche il Presidente della Repubblica. Io ero seduto a pochi passi dal Maestro a vedere quel film che non avrebbe dovuto esistere. E sullo schermo, incredibilmente, c’era pure la mia faccia. Una cosa impossibile! L’onore più grande che il mio lavoro potesse regalarmi. Mi sentivo come un inglese che viene nominato Sir dalla Regina.
Poi anche al Lucania Film Festival (il festival che conduco da ormai diversi anni), abbiamo avuto un grande privilegio: quello di ospitare la prima assoluta del documentario del backstage del film, diretto da Marco Scola Di Mambro, con l’aiuto regia di Nicola Ragone. Alla presentazione c’era anche Silvia Scola. É stato un evento memorabile, che ha riempito di orgoglio me, la direzione artistica- Rocco Calandriello e Claudia D’Anna -, il Presidente Massimiliano Selvaggi e tutto lo staff. Silvia Scola continua a collaborare con il Festival e altri progetti sono in corso. Da quel film sono nate insomma tante altre cose, amicizie, collaborazioni. Perché quando uno come Scola fa una cosa, non è mai solo quella cosa lì: si apre sempre tutto un mondo.
Ma c’è un ricordo che più di tutti porterò per sempre nel mio cuore. Grazie al film ho avuto modo di conoscere da vicino tutta la famiglia Scola, che ovviamente è splendida: perché uno come Ettore Scola non può che seminare bellezza. Durante le vacanze di Natale successive all’uscita del film, mi invitano a casa Scola a giocare a carte. Sì, esatto, una normale giocata a carte natalizia. Perché uno pensa che un Maestro debba fare sempre il Maestro… no, ovvio che sotto Natale, gioca a carte come tutti. Ma sono quelle cose che se non le vedi non ci pensi. Comunque, se mai avrei pensato di sentire un giorno Ettore Scola dirmi “azione”, ancor meno avrei potuto immaginare di sentire Ettore Scola dirmi “un euro e sto”. Perché uno magari pensa che un Maestro, se proprio decide di giocare, farà giochi sofisticati. No, ovvio che gioca anche lui al gioco più scemo di sempre: sette e mezzo.
Ma è dopo le carte che accade la cosa più impossibile di tutta questa catena di impossibili. Iniziamo a giocare a Tabù: è quel gioco in cui devi far indovinare le parole alla tua squadra, mentre scorre il tempo della clessidra. Poi con la pedina si avanza di tante caselle quante sono le parole indovinate. Ma se capiti sulla casella “faccia a faccia”, non puoi più avvalerti di tutta la squadra: devi scegliere uno solo dei componenti e solo lui può indovinare. A un certo punto la pedina della nostra squadra finisce sulla casella del faccia a faccia. Proprio quando tocca a Ettore Scola: dunque deve scegliere uno con il quale fare il faccia a faccia… E, incredibilmente, sceglie me. Ora, tornando alle cose impossibili: se mai avrei pensato di fare un giorno un film con Ettore Scola, men che meno avrei potuto immaginare di fare un faccia a faccia a Tabù, con Ettore Scola. Quando parte la clessidra io sono tesissimo e sudo freddo. Devo per forza indovinare tante parole: perché davanti a un Maestro come lui, vuoi fare bella figura sempre, in tutti i settori della vita. Sul set come a Tabù. Il turno di gioco più lungo della mia vita. Ma alla fine, quando scade il tempo, il risultato è ottimo: ho indovinato un sacco di parole. Tanto che da quel giorno, tutta la famiglia mi ricorda come quello bravo ai giochi…
Aver fatto in tempo a incrociare la vita artistica e personale di Ettore Scola, è il più bel regalo che il mio lavoro potesse farmi. Fa parte di quelle cose che vanno al di là di ogni aspettativa. Ma sono proprio quelle cose lì che, quando capitano, ti fanno capire che non devi mollare mai. Che può succedere di tutto. Che se continui a lavorare sodo, in questo mondo ingiusto e sballato, alla fine magari accadono pure le cose impossibili.
Dopo Che strano chiamarsi Federico, non smetterò più di crederci.
E allora, Maestro, non sai quanto ti devo…
Grazie infinite per avermi scelto. Nel film e a Tabù.