La settima arte come sbarco sulla Luna:
come è cambiata la visione su e dell’uomo con il linguaggio cinematografico.
(Gabriele Fortunato)
A partire dal secolo scorso, l’uomo ha intrapreso un viaggio alla scoperta del cinema, un luogo ignoto capace di suscitare emozioni e sensazioni inedite.
La Luna ha ricoperto in questo viaggio il ruolo di protagonista o di ambientazione all’interno di numerose pellicole. Questo orbitare attorno a essa può identificarsi con il viaggio nel cinema stesso.In queste righe, si vuole tentare quindi una ricostruzione del sopra citato viaggio, scandendo ogni fase dell’evoluzione cinematografica come se fosse una fase lunare.
Luna nuova, ovvero l’avvento del cinema
1902. Una piccola sfera lattea, antropomorfa, si ingrandisce pian piano, fino a essere colpita da un razzo che le si conficca in un occhio…
Tramite un viaggio di un misterioso gruppo di scienziati alla scoperta dell’altrettanto misteriosa Luna, George Méliès, uno dei padri fondatori della Settima Arte, mostrava come la camera potesse generare un miglioramento dell’antico caleidoscopio, uno strumento epifanico dell’immaginazione, andando oltre un’asettica ripresa della realtà. Dietro il fantomatico allunaggio, Méliès costruiva, soprattutto, un mondo nuovo, in cui lo spettatore potesse sospendere la propria incredulità, esplorare il senso ignoto di quelle cose, che sarebbero poi divenute note ad un occhio allenato.
Il viaggio nello spazio, l’avvicinarsi del/al satellite Luna… Non è forse questo un tentativo di rottura di un’ipotetica quarta parete, con cui si descrivono le varie fasi che la macchina filmica attraversa, dando luogo a una dialettica tra finzione e realtà? A mio parere, Méliès ci dice che il mondo sullo schermo non è poi tanto diverso da quello in cui lo spettatore vive e agisce. Come la Luna vive di luce riflessa, così il Cinema vive della luce riflessa che proviene dalla realtà esterna alle mura della sala?
Nel suo Autobiografia di uno spettatore, Italo Calvino dirà: «Non c’è un mondo dentro lo schermo illuminato nella sala buia, e fuori un altro mondo eterogeneo separato da una discontinuità netta, oceano e abisso. La sala buia scompare, lo schermo è una lente d’ingrandimento posato sul fuori quotidiano, e obbliga a fissare ciò su cui l’occhio nudo tende a scorrere senza fermarsi».
Dalla Luna crescente alla Luna piena, ovvero come il cinema ha raccontato la Storia.
L’uomo incontra quindi nel cinema il mezzo ideale per raccontare e rappresentare il suo vissuto, la sua immaginazione, costituendo un vero e proprio album di ricordi. Viceversa, il cinema, e l’arte in generale, sensibili agli eventi che accadono, o potrebbero accadere, all’umanità, trovano in questi la propria linfa vitale, rafforzando la loro potenza creatrice.
La Seconda Guerra Mondiale e i suoi echi saranno forieri di nuove storie per il grande schermo, configurandosi come un nuovo sbarco sulla Luna. Questa Luna appare però cupa, fredda, silenziosa come la Morte: i Neorealisti, Cesare Zavattini o Roberto Rossellini, si muovono come degli astronauti, sospesi in uno scenario nuovo, alla ricerca di un appiglio che dia loro stabilità. E così i personaggi dei loro film: si pensi al finale di Germania anno zero,
in cui il protagonista Edmund si aggira in una città distrutta, dove le macerie ricordano tanto i crateri lunari. Quanto più «La camera segue il ragazzo e ne assume il punto di vista in un girovagare senza senso, alla ricerca di un conforto e di una comprensione da parte di un mondo che lo ha materialmente spinto a quel gesto», tanto più, ci si accorge che «…Non c’è un solo segno di vita che giustifichi la necessità della sopravvivenza». Gli autori, spettatori e al contempo narratori, ma, prima di tutto, uomini, operando un processo di decostruzione e ricostruzione della realtà, mai stata così “irreale”, si fanno portatori della verità dello strazio della guerra, un fardello che fa sentire smarriti e minuscoli nello spazio, vittime di un’assenza di gravità che li tiene fermi a terra.
Dalla Luna Piena alla Luna calante, ovvero le trasformazioni del cinema
Il Neorealismo, che, nelle parole di Pier Paolo Pasolini, era stato il «Primo atto di coscienza critica dal punto di vista politico e ideologico che l’Italia ha avuto di se stessa», muore, o quantomeno esaurisce la sua spinta creatrice e l’appeal presso il grande pubblico, nella prima metà degli anni ‘50. La rinascita economica, l’avvento della società dei consumi, depotenzia questa corrente in favore della Commedia, dei film dei Telefoni bianchi; essa soccombe all’idea di una rivoluzione propugnata e auspicata.
Una rivoluzione che, sempre secondo la visione di Pier Paolo Pasolini, è connotata negativamente. Il consumo della società di massa, infatti, è da lui visto come espressione antidemocratica, dal momento che il prodotto, nel caso del cinema, filmico, ha la meglio sul consumatore/spettatore, che diviene passivo e suscettibile di manipolazione. La riflessione viene azzerata e la creatività ideale dell’individuo uniformata a un modello comune, seriale. L’uomo-astronauta ha concluso la sua esplorazione, è tornato sulla Terra, trovando nel prodotto il suo feticcio.
Da un punto esterno, per così dire extra-terrestre, però, l’uomo sembra un morto tornato dall’aldilà, divorato nelle carni dal mostro del consumismo; un dead man walking non tanto diverso dai morti della guerra. A titolo esemplificativo, Pier Paolo Pasolini, alieno dalla dinamica per cui l’immaginazione si fa ri-produzione, nell’episodio La Terra vista dalla Luna, tratto dal film collettivo Le streghe (1967) fa risorgere la protagonista femminile morta, e la tratta come fosse un automa, con la facoltà di intendere ma non di volere.
La parola diviene insignificante nel contesto, le azioni si reiterano: la morale, tragicomica, è che essere morti o essere vivi è la stessa cosa.
L’alba di un nuovo giorno
1969. L’uomo sbarca sulla Luna: non è più un’evento filmico, ma reale (anche se per qualcuno sarà un evento farsa ri-creato in un’atmosfera di finzione).
A mano a mano, il cinema ha perso parte dei suoi spettatori, a favore della sua parente più prossima e miniaturizzata, ovvero la televisione. Il Cinema-Luna sembra aver detto tutto quello che aveva da dire; ora, l’uomo-astronauta vira la propria attenzione verso nuove avventure, in direzione del pianeta rosso, Marte, probabilmente alla scoperta di nuove forme di vita, così da avere nuove storie da raccontare.
Malgrado il cambio di fine e mezzo che sostanzia il processo di esplorazione e di creazione, com’è naturale nell’evoluzione delle cose, si avverte comunque il bisogno di far prendere vita alla fantasia, ai sogni. E questo può avvenire soltanto in presenza di uno schermo, grande o piccolo che sia, dove possiamo sentire e vedere l’ordine che può essere dato al caos.
Nella follia che affligge un’impoverita, priva di spessore, società contemporanea, generata dal fatto che la realtà è stata soppiantata dalla finzione, occorre non rimanere imprigionati nella sala cinematografica, nella televisione, o nel web, e quindi, come fa il true-man, Truman Burbank, nel film (1998, di Peter Weir) dimostrare la consapevolezza di avere sì una personalità espressiva, ma scissa dalla persona che siamo, così da non essere semplici spettatori, o protagonisti passivi, della propria vita.